Per la prima volta, Aosta Iacta Est ha portato i propri giochi oltre le sbarre del carcere di Brissogne. L’esperienza, forte e sorprendente allo stesso tempo, è stata raccontata dal presidente dell’associazione in un articolo comparso sulle pagine regionali de La Stampa. Siamo molto orgogliosi di quello che abbiamo iniziato a fare, e crediamo che possa essere un esempio fertile: riportiamo qui il testo dell’articolo, insieme al link al pezzo uscito in edicola il 3 marzo 2014.
C’è un gioco in scatola che si chiama Quoridor: due pedine si muovono su una scacchiera che, poco a poco, diventa un labirinto a causa degli ostacoli che vengono piazzati sul percorso. Ciascun giocatore deve cercare di raggiungere il lato opposto, con un’unica regola: non si può mai imprigionare del tutto la pedina avversaria, bisogna sempre lasciarle una strada (magari lunghissima) per arrivare dall’altra parte.
Quoridor, con le sue barriere e i suoi corridoi obbligati, è uno dei giochi che trova posto sui tavoli del primo appuntamento con il “gioco intelligente” nel carcere di Brissogne. I tavoli sono in realtà dei banchi di scuola, gli stessi usati dalle persone detenute quando seguono i corsi organizzati dall’istituto di pena o dai volontari che, ogni settimana, ne varcano i cancelli. Quei banchi però, per la prima volta si popolano di tabelloni e pedine, di tessere e dadi. In una sala comune, la stessa che ospita la messa a Natale, i volontari dell’Associazione volontariato carcerario e quelli di Aosta Iacta Est hanno portato ieri giochi in scatola e di carte, per il primo di tre appuntamenti che si svolgono tra marzo e aprile.
Secondo Aosta Iacta Est, i “giochi dei grandi” hanno un valore sociale che può essere prezioso: quello di fare incontrare individui diversi, di metterle a confronto in uno spazio condiviso e piacevole. Per poco più di due ore, sono una trentina le persone che si sfidano tra i giochi. Per una volta non ci sono etichette, ma tutti condividono sistemi di regole piccoli e divertenti: ognuno poi tornerà al proprio percorso, alla propria vita, ma per qualche istante c’è un equilibrio che sembra funzionare per gli sguardi d’intesa, per le risate, per le sorprese. Il carcere ha aperto con cortesia le proprie porte, due associazioni hanno risposto con un obiettivo comune. Un segno di come, nel volontariato e non solo, fare rete tra soggetti diversi permette non solo di ottimizzare l’utilizzo di risorse (di tempo ed energie, anzitutto), ma anche di creare spazi inediti che non sarebbero raggiungibili da chi si concentra solo su se stesso.
I volontari, all’uscita, sono entusiasti. Vuoi perché è una giornata radiosa ormai di primavera, vuoi perché tutto ha funzionato bene. Probabilmente è perché si aspettavano che il carcere fosse un posto difficile, dove portare i propri giochi, e invece l’incontro intorno tra dadi e pedine ha funzionato come in tante altre occasioni. O, forse, ha funzionato meglio: perché la voglia di incontrarsi a Brissogne è più spigolosa ma più intensa, e perché il confine tra “dentro” e “fuori” ha senso di esistere anche nella misura in cui questo possa essere attraversato per ricordare che il carcere non è un buco nero fuori dai giochi, ma una casella dove si sconta la propria pena. In attesa di ripartire dal via.
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